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Trappola per topi
Trappola per topi
Info

Con: Ettore Bassi

Il 25 novembre 1952 all’Ambassadors Theatre di Londra andava in scena per la prima
volta “Trappola per topi” di Agatha Christie. Da allora, per 70 anni ininterrottamente, il
sipario si è alzato su questa commedia “gialla” senza tempo e di straordinaria efficacia
scenica. Ed ora tocca a noi… Non è consueto per me, spesso regista drammaturgo in
proprio, misurarmi con un classico della letteratura teatrale. Certo da interpretare, ma
da servire e rispettare. Ma non ho avuto dubbi ad accettare. Perché “Trappola per topi”
ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da
personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre
ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di
cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità.
D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di
interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente
British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza
obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso
di boiserie, kilt, pipe e tè. Stereotipi della Gran Bretagna non lontani dalla semplicistica
visione dell’Italia pizza e mandolino. Credo che i personaggi di Trappola nascano
ovviamente nella loro epoca, ma siano vivi e rappresentabili oggi, perché i conflitti, le
ferite esistenziali, i segreti che ognuno di loro esplicita o nasconde sono quelli dell’uomo
contemporaneo, dell’io diviso, della pazzia inconsapevole. E credo riusciremo a
dimostrarlo grazie alla potenza senza tempo di Agatha Christie, ma anche e soprattutto
con il talento e l’adesione di una compagnia di artisti che gioca seriamente con un’opera
“chiusa” e precisa come una filigrana, che però lascia spazio all’invenzione e alla
sorpresa, una promessa di imprevedibilità e insieme di esattezza. E poi c’è la neve, la
tormenta, l’incubo dell’isolamento e della bivalenza, il sospetto e la consapevolezza che
il confine tra vittima e carnefice può essere superato in qualsiasi momento. Ingredienti
succosi ed intriganti che spero intrappoleranno il pubblico.

Con: Ettore Bassi

Il 25 novembre 1952 all’Ambassadors Theatre di Londra andava in scena per la prima
volta “Trappola per topi” di Agatha Christie. Da allora, per 70 anni ininterrottamente, il
sipario si è alzato su questa commedia “gialla” senza tempo e di straordinaria efficacia
scenica. Ed ora tocca a noi… Non è consueto per me, spesso regista drammaturgo in
proprio, misurarmi con un classico della letteratura teatrale. Certo da interpretare, ma
da servire e rispettare. Ma non ho avuto dubbi ad accettare. Perché “Trappola per topi”
ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da
personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre
ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di
cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità.
D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di
interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente
British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza
obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso
di boiserie, kilt, pipe e tè. Stereotipi della Gran Bretagna non lontani dalla semplicistica
visione dell’Italia pizza e mandolino. Credo che i personaggi di Trappola nascano
ovviamente nella loro epoca, ma siano vivi e rappresentabili oggi, perché i conflitti, le
ferite esistenziali, i segreti che ognuno di loro esplicita o nasconde sono quelli dell’uomo
contemporaneo, dell’io diviso, della pazzia inconsapevole. E credo riusciremo a
dimostrarlo grazie alla potenza senza tempo di Agatha Christie, ma anche e soprattutto
con il talento e l’adesione di una compagnia di artisti che gioca seriamente con un’opera
“chiusa” e precisa come una filigrana, che però lascia spazio all’invenzione e alla
sorpresa, una promessa di imprevedibilità e insieme di esattezza. E poi c’è la neve, la
tormenta, l’incubo dell’isolamento e della bivalenza, il sospetto e la consapevolezza che
il confine tra vittima e carnefice può essere superato in qualsiasi momento. Ingredienti
succosi ed intriganti che spero intrappoleranno il pubblico.
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